RovineUrbane
Seconda personale di Andrea Capanna nello spazio di Francesca Anfosso.
Secondo capitolo di una visuale urbana che affronta e rimodula l’archeologia del presente.
L’artista riparte dal punto in cui si era interrotto il primo flusso espositivo. Sarebbe meglio dire, prosegue la sua metabolizzazione di una Roma mineralizzata.
Ovvero, la sua masticazione visiva della città sgretolata, consunta, geologica.
Un canto figurativo narra la pelle meticcia, mangiata dal tempo, piena di ferite e suture… è la pelle delle pietre romane e medievali, del tufo e del travertino, del mattone a cortina, del cemento armato, delle protesi stradali, della ruggine e delle polveri depositate… Roma magnetizza sulla sua cute il tempo secolare, le vicende pubbliche e private, i vizi e le virtù di un luogo che si trascina un immenso passato sul faticoso sentiero del presente.
Andrea Capanna parte da un’impronta fotografica, da una specie di resto archeologico del dagherrotipo primigenio, una scatola nera che contiene la sequenza biologica del DNA CAPITALE. Le tracce fotopittoriche sono la garanzia di una città resistente, autoimmune, in gara con la Storia e la dimensione prototipica del futuro. Tracce di pietra e atmosfera che si dissolvono ma riaffiorano ogni volta, così come la consumazione pittorica sgretola ma si rinnova di continuo… il quadro come un meccanismo chimico tra fragilità e rinnovamento, simile agli strati secolari di intonaco sovrapposto, simile ai décollage rotelliani che includevano il presente mediatico nel muro ferito.
Vi state chiedendo quali siano i passaggi tecnici per “fotografare” sul quadro l’identità organica della città? Dovrete intuirli da soli, senza indicazioni sul processo, diluendo la tecnica nel risultato emotivo e concettuale. Perché non serve rivelare le istruzioni dietro i processi, sarebbe come chiedersi che marca di neon usasse Dan Flavin o chi fornisse gli orinatoi a Marcel Duchamp. Le informazioni tecniche restano chiuse nel laboratorio privato dell’autore, in quel luogo intimo dove l’arte trova la sua camera di decompressione. L’artista restituisce al mondo il risultato di questo processo, invia al pubblico la sua versione fragilmente resistente, la sua terapia estetica che irradia influenze visive e vertigini sentimentali. La sua Roma è dura e al contempo avvolgente, sfacciata e silenziosa, latina e internazionale, selvaggia e amorevole come una lupa coi suoi cuccioli svezzati.
ROVINE URBANE di una Roma senza retorica, sul crinale tra evidenze e sorprese, una città che accorpa memorie e modernismi nel suo clima monumentale ma eternamente tellurico. Capanna mescola tecniche manuali con soluzioni a tecnologia low-fi, così da mantenere alta la frequenza cardiaca della Storia e l’impatto filologico del presente. Quadri di medio formato che diventano schermi a fuoco lento, in ebollizione morbida e continua, ad alta temperatura ma senza che si bruci l’evidenza della figurazione. Il realismo vibra dentro il processo elaborativo, permane nel quadro uno status iconografico che non disperde il senso del costruire. E’ come se, anziché destrutturare la forma, ci fosse la costanza di una ricostituzione della memoria, dei mille frammenti che si compattano in aggregati cellulari.
Rovine resistenti.
Rovine che si lasciano raccogliere dal presente.
Rovine del nostro comune futuro.
Gianluca Marziani
Andrea Capanna’s second individual exhibition in Francesca Anfosso’s space.
The second chapter of an urban visual that deals with and gives new shape to the archaeology of the present. The artist departs from the point where he interrupted the flow of his first exhibition. Or perhaps it is better to say that he continues his metabolization of a mineralized Rome, that is, his visual mastication of a shattered, consumed, geological city.
A figurative chant that tells of a half-breed skin, consumed by time, full of cuts and stiches. That’s the skin of the medieval Roman stones, of tuff and travertine, of the brick in the courtyard, the armoured concrete, the artificial limbs of the streets, the rust and deposited dust.. Rome magnetizes centuries- old time on its dermis, public and private affairs, vices and virtues of a place that drags its immense past on the tiresome path of the present.
Andrea Capanna starts with a photographic imprint of some sort of archaeological remain of the primo genial daguerreotype, a black box that contains the biological sequence of the CAPITAL DNA. The photographic-painted traces are guarantees of a resistant city, autoimmune, in a constant race with History and the prototype of the future. Traces of stone and atmosphere that dissolve but resurface every time, like the consummation of pictorial shedding that continuously renews itself…the painting as a chemical mechanism between fragility and renewal, similar to century’s old layers of overlapping plaster, similar to Rotellian collages that included the mediatic present in the injured wall.
Are you asking yourselves which are the technical passages needed to ‘photograph’ in a painting the or- ganic identity of the city? You will have to understand that on your own, without indications about the process, diluting the technique in the emotional and conceptual result. There is no use in revealing the instructions behind the processes, it would be as asking oneself what neon brand Dan Flavin used, or who supplied Marcel Duchamp with urinals. The technical information remains in the private labora- tory of the author, in that intimate space where art finds its decompression chamber. The artist gives the result of this process back to the world when he sends to the audience his fragile but resistant version, a version that emanates visual influence and sentimental dizziness. His Rome is hard and at the same time embracing, brazen and silent, Latin and international, savage and loving like a she-wolf with her weaning puppies.
URBAN RUINS of a Rome without rhetoric, on the edge between the evident and the surprising, a city that incorporates memories and modernisms in her monumental but eternally terrestrial climate. Capanna mixes manual techniques with low-fi technological solutions in a way that maintains a high the frequency of the heartbeat both of History and of the philological impact of the present. Medium- sized works that turn into screens of slow fire, boiling softly and continuously at a high temperature, yet without burning the figurative evidence. Realism vibrates in the elaborative process and persist in the painting with an iconographic status that doesn’t disperse the sense of construction. It is as if, rather than destablishing the form, there were a constant reconstitution of memory, of the thousands of frag- ments that unite in cellular aggregates.
Resistant ruins.
Ruins that let themselves be harnessed by the present.
Ruins of our common future.
Gianluca Marziani