Dormienti
Andrea Capanna: “Ciò che si cela oltre la superficie”
Testo critico di Maila Buglioni
«Così l’arte contemporanea sta tentando di trovare – in anticipo sulle scienze e sulle strutture sociali – una soluzione alla nostra crisi, e la trova nell’unico modo che le sia possibile, sotto specie immaginativa, offrendoci delle immagini del mondo che valgano quali metafore epistemologiche: e costituiscono un nuovo modo di vedere, di sentire, di capire e accettare un universo in cui i rapporti tradizionali sono andati in frantumi e in cui si stanno faticosamente delineando nuove possibilità di rapporto.» (Umberto Eco, Opera Aperta, 1962, Gruppo Editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas S.p.A.)
Rielaborare la realtà attraverso la pittura. Riesumare volti e paesaggi osservati in un passato non troppo remoto tramite una tecnica sperimentale che si contraddistingue dalla tradizionale pratica pittorica.
Elaborazione che nasce dalla volontà di far emergere nel presente memorie stratificate nel tempo. Ricordi e rappresentazioni che riaffiorano grazie ad un’espressione artistica ove pittura e scultura si fondono col fine di dar luogo ad un qualcosa di inconsueto, di inaspettato. Se la tecnica pittorica tradizionale è un “mettere” materia (strati di pennellate) sulla tela, Andrea Capanna sottrae, scarnifica lo strato d’intonaco dando luogo ad un processo invertito che richiama in parte l’arte scultorea ed in parte la Street Art.
Come egli stesso afferma «Il mio lavoro sui “muri” è un percorso di ricerca delle infinite opportunità tecniche, concettuali ed estetiche che offre questa superficie. Su di essa si deposita la memoria di una storia, si stratifica il vissuto di un corpo che mostra e rivela.»
Nei suoi supporti il soggetto emerge dal fondo per via di una scarnificazione ove strati di colore ed intonaco vengono assottigliati per “rivelare” – parola chiave del suo modus operandi – ciò che si cela oltre quel velo rimembrando l’azione di Lucio Fontana ed il suo atto del taglio della tela per accedere oltre. Tuttavia, l’artista romano se ne discosta per invertire il processo e procedere in primis per accumulo e, solo in un secondo tempo, eliminare la superficie e far affiorare fuori il soggetto protagonista.
Altro vocabolo su cui ruota la pratica pittorica di Capanna è “sottrarre”. L’impiego dell’intonaco, della calce, della sabbia e dell’intonaco, depositati e dipinti per strati e successivamente lavorati anche con carta vetrata, spatole e spazzole di acciaio non è altro che un estrarre, un portare alla luce della conoscenza ciò che è dipinto. Il volto del “Dormiente”, sottratto dall’azione del tempo, riemerge davanti agli occhi dello spettatore svelando i segni delle epoche trascorse ma anche la sua sensualità e l’aura che il passato lascia su ciò è rivelato, riscoperto, rinvenuto.
Capanna, in qualità di detentore ed arguto osservatore dell’archeologia romana e dei periodi storici che nei secoli – dal Medioevo a oggi – si sono stratificati nei sotterranei di Roma, sua città natale, riflette sul concetto di rovina rielaborandolo e personalizzandolo fintanto da dar vita ad una “metafisica della rovina” (cit. Gianluca Marziani). Tale meditazione è parte di un percorso ventennale che, inizialmente esplorato attraverso paesaggi urbani e corpi umani per creare un ideale percorso cittadino (esposizione “Urban Human”, Galleria 28 Piazza di Pietra Fine Art Gallery, a cura di Gianluca Marziani, 2016), giunge oggi, novembre 2023, ad una concezione universale ove essere umano e scenari naturali si completano plasmando una nuova realtà.
Due le nuove serie presentate in mostra ed in linea con la dicotomia che è alla base dell’itinerario artistico sviluppato nel corso degli anni dall’artista.
I “Dormienti”: volti o figure di grande formato si stagliano sulla superficie evocando la leggenda dei sette dormienti di Efeso – Costantino, Dionisio, Giovanni, Massimiano, Malco, Marciano e Serapione – venerati come santi sia dalla Chiesa cattolica sia da quella ortodossa.
Lontano dal simbolismo cristiano come anche dalla volontà del mero rifarsi alle trentadue sculture in terracotta ideate da Mimmo Paladino nel 1998, Capanna introduce lo spettatore nell’antico racconto, noto sin dal V secolo, grazie alla maestria del far riaffiorare sul supporto fisionomie indefinite, ancora celate dalla materia grezza che li contiene. Solo lui, l’artista potrà, grazie al suo occhio veggente, svelarli per renderli noti.
Di altro respiro è la serie raffigurante il deserto del Wadi Rum, luogo tra i più spettacolari e mozzafiato del Medio Oriente, ove gli echi dei remoti popoli che vi hanno abitato nei secoli ed i paesaggi desolati ed assolati sono richiamati alla mente grazie alla tecnica murale-pittorica elaborata da Capanna. In alcune opere di questo ciclo è ben visibile, oltre alla scarnificazione della base murale, anche l’impiego di stampe su carta di immagini fotografiche applicate direttamente sul supporto: escamotage che amplifica il senso di lontananza, temporale e spaziale, del sito rappresentato.
Accompagnano queste due serie alcune opere che narrano il percorso di Capanna e la sua attenzione a cogliere la capitale ed i suoi abitanti, rielaborandoli attraverso l’inconsueta tecnica di esumazione dei soggetti dagli strati della superficie pittorica.